Quando le unità abitative non solo offrono una soluzione di base (l’alloggio), ma integrano al loro interno servizi che promuovo relazioni tra vicini per la gestione della vita di tutti i giorni, allora possono essere definite come abitazioni collaborative (Rogel 2013, Rogel & Corubolo 2012). Sono case partecipative e accessibili, innovative e inclusive, e uniscono, agli spazi privati dedicati ai singoli nuclei, luoghi e servizi per la condivisione, lo scambio e il consumo consapevole. Spazi e momenti in cui le persone collaborano per superare le piccole difficoltà quotidiane e creare una vita urbana più piacevole e coerente con il proprio sistema di valori. In tutti gli esempi di questo tipo di abitazioni, la collaborazione tra i residenti è una parte inseparabile del modello abitativo.
Ma quali sono gli esempi di abitazioni collaborative? Esiste un’unica ricetta? Possono esistere solamente nel contesto urbano? E sono possibili solo in caso di nuove edificazioni? Devono per forza includere spazi espressamente progettati per essere condivisi?
Le abitazioni rappresentano senza dubbio l’elemento facilitante e il terreno potenzialmente più fertile in cui innestare le dinamiche della condivisione e della collaborazione. Un concetto sicuramente non nuovo e anche patrimonio di un certo modo di abitare italiano basato un tempo sulla convivialità e sul mutuo aiuto, ma spesso andato perduto o disgregato.
La densità abitativa urbana e condominiale può essere vista non solo come culla dei conflitti (una lite ogni dieci minuti e ogni anno 2mln di cause condominiali), ma come luogo della sperimentazione e della nascita di soluzioni diverse, basate su elementi comuni e dettate da esigenze pratiche di riduzione dei costi e dei consumi e da una rinnovata esigenza di socialità e qualità della vita.
Ecco perchè HousingLab parla di abitazioni collaborative.
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